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Il curatore dell'opera con Francesco Cocco, poeta dialettale e animatore culturale santacrocese

Con Francesco Cocco si chiude il ciclo di un secolo di poesia dialettale santacrocese.  Oltre cent’anni ricchi d’ispirazione lirica ma anche di racconti di vita paesana che permettono di ricostruire spaccati di storia locale che altrimenti sarebbero scomparsi con i loro protagonisti. Storie reali di personaggi, situazioni, tradizioni, feste patronali e spesso migrazioni verso destini meno ostili per la sopravvivenza.

Il ciclo inizia con Raffaele Capriglione, medico e scrittore vissuto a ridosso del Diciannovesimo secolo e il primo ventennio di quello successivo, il quale con le sue opere ha già varcato i limiti del ristretto territorio di nascita ed è stato proiettato, ormai, verso l’universo dei grandi protagonisti della letteratura nazionale vernacolare. Piú avanti si apre strada un contadino autodidatta, Gennaro Rosati, le cui poesie inedite, sparse qua e là, attendono di vedere la luce, non tanto per il valore poetico in sé ma per la ricostruzione definitiva del mosaico etnografico e antropologico del nostro piccolo ma, culturalmente, fortunato villaggio. Piú avanti nel tempo un altro protagonista, Italo D’Onofrio, poco conosciuto dalle nuove generazioni di santacrocesi per essere vissuto gran parte della sua esistenza fuori dal territorio, ha prodotto una raccolta di delicate liriche, per fortuna in nostro possesso, che aspettano anch’esse il momento della pubblicazione per il diletto degli amanti della buona poesia. E poi Pietro Mastrangelo, la cui opera letteraria e pittorica ė stata già sufficientemente decantata sia attraverso edizioni recenti, sia per i continui omaggi resigli dai riconoscenti concittadini santacrocesi.

Francesco Cocco è l’ultimo di questa stirpe. Sia in termini cronologici, sia per l’inevitabile, naturale estinzione che a breve toccherà al nostro dialetto, e non solo. I dialetti, infatti, come tutti i fenomeni legati all’evoluzione dell’uomo, cominciano ad entrare in uno stato agonico, vittime della lingua nazionale favorita dalle scuole massificate e dai media sempre più presenti nelle quotidiani necessità dell’uomo. E nel Cocco è evidente la transizione che comincia a lasciarsi alle spalle. Non solo per la presenza nei suoi testi di voci moderne impossibili da riscontrare nella lingua dei nonni, come reggióne, automòbbele, autobbusse, telefonine, rundenèlle, aprile, femmeneletà, ecc., che danno la sensazione di essere lessico dialettale solo per la loro rappresentazione fonetica (doppia “g” palatale, doppia “b” in posizione iniziale seguita da vocale o intervocalica, la shwa in sostituzione di alcune vocali atone, ecc.) ma anche, tra l’altro, per la non piú sempre ricorrente sonorizzazione della consonante dopo la nasale nei nessi italiani “nt”, “nc” (“c” palatale), o “mp” come cuntratte, sencère, Campemarine, ecc. Oppure la preservazone del nesso italiano “nv” invece del dialettale “mm” come nvetanne (anziché mmetanne), o di “nf” al posto  di “mb” come nfèste, cunfessióne, ecc. (anziché mbèste, cumbessióne, ecc.).

Per quanto riguarda le tematiche, oltre alle solite descrizioni di alcune manifestazioni popolari come la benedizione degli animali in occasione dei festeggiamenti della Madonna dell’Incoronata, la scampagnata nel santuario di Sant’Elena, la pasquetta, la benedizione delle palme durante le celebrazioni pasquali, del resto già cantate con maestria da Raffaele Capriglione e dallo stesso Pietro Mastrangelo, c’è un soggetto ricorrente particolarmente caro al Cocco, quello della festa patronale di Sant’Antonio. Ben otto liriche sono dedicate al taumaturgo, dall’inizio degli atti religiosi (la tredicina) fino alla processione del santo per le vie del paese, e la descrizione dei carri addobbati che l’accompagnano. Ma non è una sorpresa. Il poeta è un fervente devoto del santo e lo manifesta con la pienezza dei suoi sentimenti. Un altro tema ricorrente è quello dell’emigrazione. La partenza verso l’ignoto e poi il rientro in paese dell’emigrante dopo la realizzazione delle sue aspirazioni sono descritti con tanto sentimento e realismo da strappare spesso anche lacrime di commozione. Eppure si sa che né il poeta né i familiari più cari hanno vissuto in prima persona il duro dramma della separazione. Forse per questo stupisce l’interesse per l’argomento ricorrente, invariabilmente intenso in ogni verso. Non mancano, poi, i contributi propri del poeta, utili per la ricostruzione delle tradizioni locali. Senza il suo intervento, le prossime generazioni avrebbero ignorato alcuni mestieri dei nostri nonni, come quello dei carbonai, dei facchini, degli spazzini d’una volta, ecc. Oppure sarebbero passati nel più buio oblio i riti dello sposalizio come pure le riunioni musicali nei saloni dei barbieri dove si riunivano i giovani talenti che suonavano ad orecchio questo o quello strumento per il diletto della popolazione.

Nell’insieme, si può concludere con un giudizio positivo su questa prima raccolta poetica di Francesco Cocco, la quale abbiamo selezionato tra oltre duecento componimenti messi a disposizione dall’autore.

Prof. Paolo Mastrangelo, collaboratore di quest'opera, il cui intervento è risultato determinante non solo per la revisione dei testi ma soprattutto per la stesura di alcune note

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