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Illustrazioni

di

Guido D'Arcangelo

Codanére

PREMESSA

 

L’idea della raccolta di una serie di testi in dialetto santacrocese su episodi e personaggi sotto forma di favola che hanno significato spaccati di storia minuta in paese, è sorta in virtù di una riflessione durante il ritiro forzato in casa per la drammatica pandemia del 2020.

La lingua dei nostri avi è destinata a soccombere per il motivo irreversibile di un suo uso sempre meno frequente da parte dei naturali utenti. Anzi, la ritirata è iniziata già da sette decenni fa, da quando i mass media hanno cominciato ad entrare con prepotenza nelle case degli italiani con una lingua unica. Se si ha ancora la sensazione di un dialetto parlato dalle nuove generazioni, è solo per l’abitudine fonetica di articolare semimute gran parte delle vocali atone delle voci italiane, e di ripetere qua e là alcune dittongazioni che resistono. Cosicché il vero lessico antico, quello in larga misura utilizzato anche nella lingua scritta dal nostro illustre poeta e scrittore Raffaele Capriglione, se non fosse stato riscattato almeno come documento di civiltà per gli archivi della linguistica e della storia, starebbe da tempo sepolto nell’urna del dimenticatoio.

Così le cose, lo sforzo di quanti come me si sono presi in carico la missione di dedicarsi con passione allo studio della lingua in estinzione, non è certamente con lo scopo di risuscitarla. Da linguista so che una simile possibilità sfiorirebbe il limite dell’utopia. La scienza, anche se ha bisogno di pizzichi di intuizione e creatività, non può prescindere dall’osservazione e dalla costatazione dei fenomeni che si susseguono nel tempo spesso con una velocità insolita. E dunque, il fenomeno del dialetto santacrocese in estinzione che comincia a lasciare spazio alla sola lingua nazionale, è a sua volta una realtà osservata da tutti per cui impossibile da refutare.

E allora, perché l’impegno di scrivere un’opera in dialetto se si sa che non potrà contribuire a rivivere ciò che è in estrema agonia? La risposta è semplice. Per ritardare il più possibile la scomparsa annunciata e per dare un ulteriore contributo alla raccolta scritta, e quindi alla preservazione di un’importante eredità culturale e di civiltà di una lingua che dal sorgimento della comunità santacrocese si è trasmessa solo per via orale nel corso di varie generazioni.

Mi è balzata alla mente l’idea, inoltre, che se questi e altri testi scritti, con la complicità dei maestri locali potessero essere adottati nelle scuole sin dai primi anni di studio, un argine al pantano per disaccelerare il flusso della corrente impetuosa verso il mare della dimenticanza si potrebbe ipotizzare. Un modo, insomma, di contenere lo scorrere implacabile delle sfere del tempo.

I bambini sono attratti dalle favole, si sa. Per cui, quest’opera potrebbe soddisfare le aspettattive anche dei più piccini. Non sono  favole in dialetto scaturite solo dalla fantasia dello scrittore. Partono da episodi, fatti, aneddoti, personaggi della vita reale santacrocese ornati di tanto in tanto di pennellate più o meno inverosimili per giustificare quel minimo di morale che appunto, in ogni apologo per fini didattici, dev’essere sempre presente. E poi, per quanto possibile, la lingua suggerita non è solo quella convenzionale del quotidiano, per non far credere che il dialetto continua ad essere la parlata del presente, bensì una ricerca di voci ed espressioni antiche opportunamente tradotte e commentate dal curatore. Anzi, il compito del prof. Paolo Mastrangelo nell’opera non è affatto di gregario, è piuttosto quello di integratore. Nulla sfugge alla sua arguzia per chiarire situazioni di fatti e ruoli di personaggi, stabilendo i limiti tra il reale, la fantasia e i riferimenti latenti quando non si vuole svelare del tutto una trama scomoda avvenuta non lontana nel tempo, che potrebbe ferire occhi e orecchie sensibili.

Finalmente, in linea generale nei testi prevalgono fatti curiosi che non di rado provocano un sorriso. Sia per la comicità di alcuni contenuti,  sia per la presenza di personaggi che danno luogo a quadretti di vita spesso paradossali. In ogni caso, essendo storie che partono da un avvenimento o da un aneddoto reale, il rispetto a situazioni e a persone, identificate e non, mai varca la soglia del buon senso.

La speranza, insomma, è che queste “favole” siano accolte con benevolenza da tutti i santacrocesi, di oggi e di domani, perché a loro sono dedicate.

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